Storia
Gibellina (Valle del Belìce, in Sicilia) fu distrutta dal sisma del 1968 e numerosi artisti di chiara fama, in risposta all’appello di Ludovico Corrao – allora Sindaco di quella città – aderirono con slancio e generosità per la fondazione della nuova Gibellina in altro luogo, con progetti di piazze, architetture e opere monumentali. Anche Burri, invitato nel 1981, decise di intervenire, scegliendo però di operare sui ruderi stessi della vecchia Gibellina. I resti della città vennero inglobati nel cemento riprendendo il vecchio assetto urbanistico. Il labirinto bianco coprì come un sudario le rovine del sisma, ricordando con le fenditure del Cretto l’evento distruttivo e offrendo alla comunità la dimensione simbolica di un nuovo inizio.I lavori, avviati nel 1985 e interrotti nel 1989, coprirono circa 66.000 mq. a fronte dei 86.000 mq. previsti.
In occasione del Centenario della nascita di Burri, la Regione Sicilia, il Comune di Gibellina, la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri hanno deciso di completare questa grande opera, senza eguali nel panorama artistico internazionale.
Bruno Corà scrive nel recente catalogo della mostra “Burri I Cretti”:
... Diversamente da un paesaggio naturale, nel Cretto la frattura regolata, accompagnata, composta non parla più degli elementi scatenanti forze ignote o catastrofi incipienti, ma diviene specchio del pensiero, della sua domanda insistente, assetata, inappagabile. Se è vero che l’opera d’arte non può dare risposte, essa consente di scatenare interrogazioni inarrestabili.
Lo spazio del Cretto obbliga lo sguardo a percorrere le sue fratture come il viandante dentro le vie di una città abbandonata; la massa piena di incidenti di un acrovinilico di Burri ha la labirintica struttura della cerebralità e del pensiero che non può approdare.
Il Grande Cretto di Gibellina ha un corpo percorribile, esso contiene tutto l’antico abitato di quel povero paese della Valle del Belice estintosi in una notte invernale del 1968. Scendendo nelle sue fessure, perdendosi nei suoi dedali che un tempo furono le strade stesse del paese, si alimenta ogni volta il pensiero sulla condizione di quanti abitavano in quella terra. Il Grande Cretto evoca tanto la catastrofe avvenuta quanto l’inestinguibilità della memoria che, pur velando ogni cosa, la evidenzia. Davanti al Grande Cretto di Gibellina si comprende che la forma è una cosa vera, che lo spazio è un pensiero diversamente replicabile e aperto e che l’arte ha il potere di dare senso alle cose, con il più eloquente dei silenzi.”
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